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“GUARDA PAPÀ, ARRIVA IL GIRO!


di Riccardo Visentin

Ci siamo quasi. È metà aprile, quel periodo dell’anno in cui quando torno a casa chiedo sempre a mio padre “quand’è il giro?”. Lui mi ha sempre risposto vagamente “a maggio”, e io mi sono sempre accontentato di questa risposta, perché non importa quanti o quali altri eventi ci siano, e non importa neanche che l’anno scorso si sia corso ad ottobre a causa della pandemia: maggio è il mese del Giro d’Italia.

Il mese del massimo splendore della primavera. Quel mese in cui i fiori sbocciano con tutta la loro forza e bellezza, quasi a voler sfidare i ciclisti che gli sfrecciano vicino. È il mese perfetto per vedere il nostro Bel Paese illuminato dai raggi del sole, per farci invidiare da tutto il mondo le nostre bellezze uniche, da Roma a Milano, a Firenze e ai colli del Chianti, alla meravigliosa Sicilia, ai famosissimi e bellissimi passi montani.

Il mese ideale, che ci fa riversare in strada ad aspettare il passaggio della carovana. Donne e uomini, bambini e anziani, ricchi e poveri, senza distinzione alcuna, perché il Giro d’Italia è la corsa di tutti.

Ogni anno cambiano corridori, squadre, perfino il percorso non è mai uguale, eppure la Corsa rosa sa attrarre ed unire come nient’altro nello sport. È quell’emozione di tornare a casa da scuola ed accendere la televisione prima ancora di aver tirato su le tapparelle, nella speranza di vedere il tuo ciclista preferito al comando. È quella passione di un nonno anziano, che di Corse ne ha viste tante, che si siede sul divano con il suo nipotino ad insegnargli cos’è e come si corre in bicicletta. È quell’eccitazione che ho provato nel vederlo passare da bambino tra le bianche montagne di Bormio e ho esclamato vivacemente “guarda papà, arriva il Giro!”. È quella capacità del ciclismo di entrare nei cuori di ognuno di noi e farci sentire dentro a quella sfida, a quella rivalità sportiva che accende fughe e volate e che ti fa sentire vivo e tifare per quel determinato corridore perché incarna quella voglia di vincere che si risveglia in tutti noi guardando i ciclisti correre.

E questo è anche merito del suo punto di forza: la bici. Il mezzo più “basilare”, quell’oggetto che hanno tutti e in sella al quale si può andare dovunque, in salita come in discesa. Un po’ come la vita, un saliscendi continuo, fatto di successi e cadute, in cui solo se fai la fatica di salire potrai godere della discesa, solo se hai una squadra pronta a supportarti potrai arrivare all’arrivo, solo se sai rispettare i tuoi nemici potrai trarne beneficio e solo se non lasci che una tappa andata male rovini il tuo Giro, potrai aspirare a vincerlo.

Proprio questi ideali hanno forgiato la mentalità degli atleti più forti di sempre, come Bartali, Coppi, Gimondi, Merckx, Pantani e molti altri, trasformandoli in campioni della Corsa Rosa e consacrandoli nell’olimpo del ciclismo. E dobbiamo ringraziarli, perché molti dei campioni che ammiriamo oggi e che rendono questa “semplice” Corsa così piena di significato, hanno imparato proprio da loro

Come scrive Gian Luca Favetto “Andare al Giro, seguirlo aggrappati alle sue strade, alle fughe, alle volate, alle sue meraviglie, è sempre un ritornare.” E infatti il Giro è quella ripetizione che non stanca mai; è sempre la stessa gara ma è sempre nuova; è sempre una bicicletta ma è il mezzo più moderno di sempre. E più lo guardi e più ti innamori di quella fila di corridori, che con il loro sogno in testa accendono al contempo quelli di milioni di persone.

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